Si è Psicologo o si fa lo Psicologo? Sembra un dilemma shakesperiano, ma, in realtà, è una domanda che sottende un complesso argomento riguardante la deontologia della professione di Psicologo: il decoro professionale.
Nel nostro Codice Deontologico sono quattro gli articoli in cui compare la parola chiave “decoro”:
- Art. 2: «L’inosservanza dei precetti stabiliti nel presente Codice deontologico, ed ogni azione od omissione comunque contrarie al decoro, alla dignità ed al corretto esercizio della professione, sono punite secondo quanto previsto dall’art. 26, comma 1°, della Legge 18 febbraio 1989, n. 56, secondo le procedure stabilite dal Regolamento disciplinare».
- Art. 36: in riferimento ai rapporti di colleganza.
- Art. 38: «Nell’esercizio della propria attività professionale e nelle circostanze in cui rappresenta pubblicamente la professione a qualsiasi titolo, lo psicologo è tenuto ad uniformare la propria condotta ai principi del decoro e della dignità professionale».
- Art. 40: in riferimento alla materia di pubblicità
In questo articolo, mi concentrerò sugli artt. 2 e 38 e nello specifico: al di fuori dell’esercizio della propria attività professionale, uno psicologo è tenuto sempre a mantenere una condotta decorosa e non lesiva la dignità professionale? Qual è il confine tra vita privata e vita professionale dello psicologo?
Il Giuramento moderno (c.d. “Giuramento di Ipprocrate”) del medico, tra l’altro, prevede:
«di affidare la mia reputazione professionale alle mie competenze e al rispetto delle regole deontologiche e di evitare, anche al di fuori dell’esercizio professionale, ogni atto e comportamento che possano ledere il decoro e la dignità della professione»
mentre l’art. 1 del C.D. dei medici recita «Il Codice regola anche i comportamenti assunti al di fuori dell’esercizio professionale quando ritenuti rilevanti e incidenti sul decoro della professione».
Appare pacifico ritenere che si è sempre medici, anche al di fuori dell’esercizio della professione per cui è necessario mantenere sempre un comportamento corretto e consono ad un’etica non scritta, di buon senso comune, considerato che il sanitario attraverso una condotta disdicevole potrebbe arrecare indirettamente un danno all’immagine dell’intera categoria dei medici.
Così sembra valere anche per gli avvocati. Il CNF – Consiglio Nazionale Forense – ha recentemente confermato le sanzioni irrogate ad un avvocato “ultrà” e ad un altro avvocato, condannato in sede penale, per non aver versato il mantenimento per i figli in fase di separazione.
E per gli Psicologi?
L’art. 2 del C.D. sembra sancire che sono punite le azioni contrarie al decoro e alla dignità della professione, mentre l’art. 38 fa riferimento al decoro professionale nell’esercizio della propria attività professionale e nelle circostanze in cui rappresenta pubblicamente la professione.
Appare pacifico ritenere che anche agli psicologi, in maniera forse meno chiara rispetto ai medici, è richiesto un comportamento non lesivo del decoro e della dignità della professione, anche al di fuori dell’esercizio professionale e sicuramente quando rappresentano pubblicamente la professione (quest’ultimo caso potrebbe essere rappresentato dallo psicologo che in un dibattito pubblico sostiene che il Covid-19 non esiste).
A fugare ogni dubbio vi è il D.P.R. n. 221/50 “Approvazione del regolamento per la esecuzione del decreto legislativo 13 settembre 1946, n. 233, sulla ricostituzione degli Ordini delle professioni sanitarie e per la disciplina dell’esercizio delle professioni stesse” laddove, all’art. 38, viene sancito che:
«I sanitari che si rendano colpevoli di abusi o mancanze nell’esercizio della professione o, comunque, di fatti disdicevoli al decoro professionale, sono sottoposti a procedimento disciplinare da parte del Consiglio dell’Ordine o Collegio della provincia nel cui Albo sono iscritti. Il procedimento disciplinare e’ promosso d’ufficio o su richiesta del prefetto o del procuratore della Repubblica».
Alla luce di queste osservazioni, è possibile ipotizzare che il sanitario (tra cui lo psicologo) colpevole di fatti disdicevoli al decoro professionale è sottoposto a procedimento disciplinare, promosso anche d’ufficio.
Lo confermano anche due recenti sentenze della Cassazione: Cass. 19 agosto 2011, n. 17418 e Cass. 30 luglio 2020, n. 16421. Quest’ultima sancisce che «Con specifico riferimento alle professioni sanitarie, questa Corte ha sottolineato che il richiamato art. 38 del d.P.R. n. 221 del 1950 considera illeciti disciplinari i comportamenti tenuti dagli iscritti anche se nello svolgimento di attività diverse dall’esercizio, della professione, quante volte il comportamento sia suscettibile di essere considerato di pregiudizio per il decoro della professione».
Appreso che, alla stregua del medico, si è sempre psicologi, anche la di fuori dell’esercizio dell’attività professionale, il livello potrebbe spostarsi su un’altra complessità: stabilire quando un comportamento sia suscettibile di essere considerato di pregiudizio per il decoro della professione.
Naturalmente, la questione investe la soggettività e la sensibilità dei singoli componenti della Commissione deontologica (rectius “del Consiglio dell’Ordine”) chiamata a valutare quali condotte possono essere ritenute indecorose.
Qualche esempio:
- uno psicologo può pubblicare sul proprio profilo (non professionale) social network frasi e/o immagini esplicitamente offensive?
- è possibile per un dipendente pubblico frequentare locali notturni fino all’alba sapendo che alle 8 deve iniziare il suo turno lavorativo?
- è possibile per uno psicologo partecipare a programmi televisivi ritenuti trash?
- può uno psicologo uomo indossare indumenti femminili all’interno e all’esterno dell’ambito lavorativo?
- è sanzionabile per comportamento indecoroso lo psicologo che omette la comunicazione dei contributi Enpap o li versa parzialmente ex art. 10 comma 4 del “Regolamento per l’attuazione delle attività di previdenza” (approvato con D.M. del 15/10/1997 – G.U. n. 255 del 31/10/1997 e successive modificazioni)?
Il nocciolo della questione, a questo punto, non sembra tanto la discussione intorno al tema dell’interpretazione deontologica (decoro dentro o fuori la professione), ma della scelta dei criteri da adottare nella valutazione di cosa sia decoroso o indecoroso. E da questa criticità se ne sviluppa un’altra: ciò che il Consiglio dell’Ordine di una regione potrebbe stabilire come un comportamento indecoroso di un collega, un altro Ordine regionale potrebbe stabilire quel simile comportamento di un altro collega come non sanzionabile.
Ma questo è un altro articolo.
Marco Pingitore