Ho letto sul Corriere il bell’editoriale di Veltroni del 21 novembre “Le nuove strade dopo la caduta” e mentre una parte di me diceva “finalmente se ne parla”, un’altra suggeriva “basta, non possiamo più attendere oltre”.
Nella Task Force Colao ho coordinato il Gruppo di Lavoro “Individui Famiglie e Società” e nel risultato che abbiamo consegnato al Premier Conte e ai Ministri durante gli Stati Generali di giugno 2020 (un rapporto corredato da 102 proposte di azione, contenenti, per ciascuna iniziativa, costi, soggetti coinvolgibili, impatti attesi: disponibile sul sito del Governo http://www.governo.it/it/articolo/iniziative-il-rilancio-italia-2020-2022/14726) le schede dalla 88 alla 102 erano specificamente dedicate alle persone e alle ricadute – psicologiche, relazionali, sociali – che la fase pandemica e post pandemica avrebbero avuto su cittadine e cittadini tutti.
Cito alcuni titoli di proposte: n. 88. Presidi di Welfare di prossimità; n.89. Supporto psicologico alle famiglie; n.91. Progetti terapeutico riabilitativi personalizzati; n.92. Riorganizzazione dei Servizi territoriali sociosanitari: ai quali vanno aggiunte le iniziative riguardanti le pari opportunità di genere, il futuro dei giovani, il sostegno agli adolescenti, il contrasto alla povertà alimentare ed educativa dei minori.
Quanto proposto in quella Sezione, con le colleghe e i colleghi del Gruppo di Lavoro, era corroborato da un’ampia letteratura scientifica che identifica proprio nella fase immediatamente successiva ai grandi traumi collettivi (pandemie, disastri naturali etc.) il tempo nel quale intervenire per sostenere le persone e far evolvere i naturali sentimenti di incertezza, preoccupazione, tristezza in resilienza (di cui tutti parlano ma nessuno opera perché davvero si realizzi), ossia nella capacità degli individui di adattarsi al cambiamento facendo ricorso alle risorse psicologiche interne. Altrettante evidenze empiriche insistono poi sul fatto che il passaggio da esperienza traumatica a resilienza non può essere chiesto ai cittadini lasciandoli soli, come stiamo facendo in questo momento in Italia, tanto più se, come era previsto, alla fase post pandemica segue un’altra ondata, nella quale il ricordo dei difficile mesi di lockdown non è ancora stato elaborato.
Noi psicologhe e psicologi sappiamo infatti troppo bene che non serviranno le pacche sulle spalle, gli incitamenti a resistere, i 10 giorni di shopping, il cenone di Natale (ristretto o allargato, poco cambia), l’ipotesi della riapertura delle scuole il 7 gennaio. Perché le disuguaglianze non riguardano solo il ceto sociale, i territori, le possibilità ma anche le risorse interne – quelle psicologiche – di cui le persone dispongono. E, diversamente da quanto si creda, il malessere psicologico non risparmia nessuno. Da questo empasse – prevedibile e previsto -possiamo uscire solo con un’azione immediata, che impatti su grandi numeri della popolazione: con voucher di sostegno psicologico diffusi, destinati da subito a individui e famiglie, per promuovere la resilienza psicologica nei più e prendere in carico chi è più fragile.
In una visione del futuro a breve – ma anche nella progettualità del Recovery Fund – che veda agire sinergicamente i progetti in termini di Salute e di Welfare. Perché un piano nazionale di sostegno psicologico non è una spesa ma è un investimento, non è una cura ma uno strumento di prevenzione del malessere e di promozione della salute psicologica, come l’Ordine Nazionale degli Psicologi, attraverso il suo Presidente David Lazzari, e il lavoro di psicologhe e psicologi negli Ordini Regionali, stanno da tempo indicando.
Elisabetta Camussi