C’è una certa confusione su questo aspetto, che genera fraintendimenti e che non aiuta le colleghe ed i colleghi a muoversi in uno scenario già di per se complicato.
“Sanitario” è il nome delle professioni che si occupano di salute ed anche del “Sistema Sanitario Nazionale” creato con la legge 833 del 1978.
Da qualche anno, anche per azione della nostra Comunità professionale, il nome “Sanità” è stato sostituito con quello di “Salute” come si vede con il titolo dato al Ministero e agli Assessorati delle Regioni: non più “della o alla Sanità” ma “della o alla Salute”.
Non è solo una operazione lessicale, è il segno di una evoluzione del pensiero verso l’idea che oltre la cura delle malattie si deve pensare alla tutela della salute, come dice la Costituzione.
E la Salute è una questione biopsicosociale, non solo “bio” e non solo “sociale” quindi.
Ecco che quindi la componente psicologica entra a pieno titolo nel concetto di salute e ci deve entrare anche la professione. Non nel senso che tutti gli psicologi devono lavorare in Sanità ma nel senso che, ovunque lavorano, la loro attività promuove e sostiene la salute.
Con la legge 3/2018 si compie una fase del cammino, quella che parte dalla legge 56/1989, dove veniva regolata la nuova professione con compiti di “prevenzione, diagnosi e sostegno”, quindi direttamente attinenti alla salute. Già in precedenza le battaglie del sindacato degli psicologi avevano portato all’inquadramento dei colleghi del SSN come “sanitari” ed avevano aperto la strada alle legge 56 e ad una connotazione “forte” della professione.
Già prima della legge 3 tutti gli psicoterapeuti erano considerati sanitari (oltre il 50% degli psicologi quindi) e le prestazioni degli psicologi, anche quelli non psicoterapeuti, erano state escluse dall’IVA in quanto riconosciute sanitarie.
In sostanza è la legge 56 che ci mette in questa condizione. Questo ci dà tutele maggiori sul piano dell’abuso professionale, non a caso i tavoli dei counselor ed altre figure all’UNI si sono fermati, anche se ancora non definitivamente bloccati. Perché le professioni sanitarie godono di maggiori tutele e garanzie, svolgendo attività di rilevanza istituzionale.
Significa che oggi ci confrontiamo con le altre professioni della salute, non siamo nel “mare magnum” delle tante professioni o pseudoprofessioni di un generico benessere.
Ma questo vuol dire che quando si parla di salute possiamo dire la nostra e rivendicare i nostri spazi, come il CNOP sta giustamente facendo in questi mesi di pandemia, che hanno portato alla luce le carenze del sistema su questi aspetti.
Insomma, con questa collocazione, gli spazi della professione si ampliano non si riducono. Dobbiamo rafforzare le nostre competenze in tutti gli ambiti dove possiamo dire la nostra: lavoro, welfare, scuola, sport, giustizia e così via. Sapendo che benessere e salute si promuovono in tutti gli spazi sociali e la professione ha le maggiori chance per fare questo.