È stato approvato dal consiglio dei ministri dopo correzioni, bozze, revisioni e adesso deve passare dal parlamento per l’approvazione, ma dopo mesi di lavoro finalmente il Recovery Plan – il Piano nazionale di ripresa e resilienza con cui l’Italia spiega all’Europa come intende spendere i fondi straordinari dell’emergenza coronavirus – c’è.
Beh, finalmente: c’è da stappare non lo champagne, ma un crodino, per il momento, almeno a leggere come e quanto le questioni di genere sono presenti. Nella premessa, certo, si dice
- “L’Italia non potrà dirsi sostenibile se non saprà affrontare e ridurre le disuguaglianze di genere, generazionali e territoriali, che sono i principali fattori di esclusione sociale nel nostro Paese. Pertanto, la realizzazione degli interventi connessi agli assi strategici del Piano diventa uno strumento essenziale per affrontare e risolvere le criticità relative a tre priorità trasversali: le donne, i giovani, il Sud. Su queste priorità si concentrano le maggiori disuguaglianze di lungo corso e i maggiori fabbisogni di investimento. Attuare il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza nella prospettiva delle donne, dei giovani e del Sud non è solo un atto di giustizia, ma è la leva essenziale per attivare il potenziale di sviluppo per l’Italia, per ripensare le infrastrutture sociali e la macchina pubblica. L’impatto sulle priorità trasversali sarà quindi evidenziato, monitorato e valutato per tutte le sue Missioni”.
Ed è questo il punto di partenza più controverso. All’interno delle missioni di Next Generation Italia sono indicate tre “priorità trasversali”: donne, giovani e Sud. Sembrano le quote panda, dette così, un qb di sale in ogni pietanza, ma non il piatto principale. “Bene che la parità di genere sia indicata come asse trasversale, bisogna riconoscere che questo è un primo passo, ma ci dobbiamo chiedere come questa intenzione troverà poi declinazione nelle singole azioni”, riflette Elisabetta Camussi, docente di Psicologia sociale all’università Bicocca di Milano e coordinatrice del gruppo ‘Individui, famiglie e società’ del Piano Colao (ve lo ricordate?).
Il piano, infatti, spiega che all’interno di tutte le missioni ci saranno, appunto, progetti trasversali sulle donne per “realizzare una piena parità di accesso economica e sociale della donna, mettendo la parità di genere come criterio di valutazione di tutti i progetti (gender mainstreaming) e promuovendo una strategia integrata di riforme, istruzione e investimenti in infrastrutture sociali e servizi di supporto”. Come? Con politiche attive del lavoro, potenziamento dei servizi per l’infanzia, misure per l’imprenditoria femminile, per le materie Stem, e poi assegno unico, Family Act… In un passaggio si dice una cosa importante, che è uno dei nodi centrali da sciogliere per parlare di parità di genere: “Gli investimenti nelle infrastrutture sociali creano opportunità di lavoro femminile di qualità, e contribuiscono a liberare il potenziale delle donne, rendendo il lavoro di cura una questione di rilevanza pubblica mentre oggi nel nostro Paese è lasciato sulle spalle delle famiglie e spesso distribuito in modo diseguale fra i generi”.
Ma quello che nell’introduzione è così ben definito si perde nel piano e, anzi, più avanti si dice: “Valutazioni sono anche in corso per quanto attiene agli impatti delle misure del PNRR volte a contrastare le disuguaglianze di genere e quelle a favore delle nuove generazioni e dell’occupazione giovanile. Sono misure presenti trasversalmente in tutte le missioni del Piano, come richiamato più volte nel documento, e con particolare forza in quelle “Istruzione e ricerca”, “Inclusione e coesione”, ma anche nella riforma e innovazione della P.A., oltre che in alcune azioni mirate come quelle volte al potenziamento dei servizi di asili nido e per la prima infanzia”, e quindi le linee di intervento del Piano avranno poi degli indicatori qualitativi e quantitativi per valutazioni ex ante ed ex post degli effetti delle misure intraprese.
“Quello che non si dice con sufficiente chiarezza è che l’insieme delle misure che vengono dichiarate a favore delle donne – dalle infrastrutture sociali al reskilling – devono essere pensate come strategie globali per la parità di genere, non come azioni singole. E non solo per colmare gap storici, ma per una crescita reale, con una visione a lungo termine”, aggiunge Camussi. E ancora: l’idea che resta, leggendo il piano, è che ci siano ancora mondi separati e che non interagiscono: la donna che lavora e la donna che cura la famiglia, con pochi riferimenti alle azioni necessarie per passare alla reale condivisione del carico di lavoro di una famiglia che è un progetto per lo meno di due, non di una.
Che il piano sia solo un inizio di belle speranze, ma non sufficiente, lo dice anche con un manifesto la rete Donne per la Salvezza – Half of it, a cui hanno aderito finora Le Contemporanee, Rete per la parità, D.i.Re – Donne in rete contro la violenza, Il Giusto Mezzo, Soroptimist International Italia, Fondazione Bellisario, Dateci voce, Fuori quota, GammaDonna, Community Donne 4.0, EWA, Differenza Donna, Se Non Ora Quando, Libere, Odiare ti costa, Tlon, Base Italia, M&M Idee per un Paese migliore, Fondazione CeRM, Movimenta, CGIL politiche di genere, UIL coordinamento pari opportunità. Proposte, quelle del manifesto, che vanno dalla metà governance del piano fatta da donne alla copertura entro 5 anni del 60% dei bambini 0-3 anni nei nidi pubblici (con uno stanziamento di 8 miliardi), con investimenti su consultori e centri antiviolenza e cashback sui servizi di cura e assistenza immediato e transitorio per le famiglie (1,2 miliardi annui).
Insomma, non finisce mica qui, si dice nei programmi tv. Vedremo.
Fonte: La Repubblica