Siamo portati a pensare che l’ipocrisia sia una sorta di omissione, manifestare atteggiamenti diversi da ciò che realmente si pensa. Ma l’etimologia della parola viene da “simulazione” ed è stretta parente di manipolazione.
L’ipocrisia è una strategia per manipolare la realtà e le altre persone, per costituire narrazioni bugiarde di se stessi e spesso degli altri e delle cose. Per costruirsi immagini e rendite di posizione, per attirare consensi ed indirizzare le scelte e gli eventi.
Una riflessione tornata con forza con la crisi di governo e gli evidenti limiti dei partiti. Perché la domanda che sorge è: ma chi li ha votati questi partiti? Li abbiamo votati noi, i cittadini. E allora il problema si sposta sul meccanismo di scelta. Sempre meno di tipo ideologico e sempre più basato sulla capacità di narrazione dei leader, di suscitare emozioni positive per se stessi e negative per gli altri, di “parlare alla pancia” come si dice.
Noi psicologi dovremmo conoscere i limiti ed i pericoli di questa strategia. Anche se cognizioni ed emozioni sono intrecciate, tutti gli studi sui processi decisionali ci mostrano i limiti e gli inganni di un eccesso di “euristiche”, della mancanza di valutazione adeguata per un eccesso di coloritura emotiva. Questa “distrazione di massa” su falsi problemi può fare grandi danni. E’ una sorta di drappo rosso del torero che trova nei social e nella rete una amplificazione smisurata.
Spesso queste strategie manipolatorie si ammantano anche di perbenismi e moralismi ipocriti, si pensi alla “macchina del fango”. E’ noto da sempre che chi grida fingendosi scandalizzato della pagliuzza nell’occhio dell’avversario in genere ha un trave nel proprio, ma noi psicologi sappiamo come a volte è facile farsi ingannare.
La verità è che le democrazie richiedono cittadini consapevoli sennò rischiano di diventare inefficienti e di essere guidate da persone inadeguate, brave a giocare per prendere il potere ma del tutto incapaci di usarlo per il bene comune.
Del resto nel nostro lavoro sappiamo quando l’ipocrisia e la manipolazione facciano danni in una coppia, in una famiglia o in una organizzazione. Molto maggiori di un conflitto aperto ma basato si dati di realtà o di situazioni di vita gravi ma che possono essere affrontate come tali. Il nucleo patologico dell’ipocrisia si pone infatti a un livello spesso difficile da riconoscere, poiché spesso l’ipocrita si presenta come un soggetto equilibrato, positivo, cordiale ed aperto alla relazione. Ma propone una relazione falsa: in superficie si presenta come una relazione di cortesia, attenta e non invadente, costruttiva. Ma, a ben vedere, la relazione è una costante falsificazione di ciò che si vive davvero, nasconde l’essenza delle cose, delle persone e delle intenzioni ed impedisce l’emergere di relazioni e situazioni autentiche e mature.
Queste riflessioni ci portano a due conclusioni: la prima è che come Comunità Professionale dobbiamo aiutare la società e le persone, fornire strumenti e riflessioni per capire ed essere più consapevoli. La consapevolezza è un ingrediente fondamentale in questo mondo complicato.
La seconda è che dobbiamo saper riconoscere queste strategie e situazioni anche nella nostra Comunità Professionale perché non solo possono fare e fanno gli stessi danni all’interno ma anche perché ci tolgono credibilità all’esterno.
Una Comunità Professionale vittima dei limiti che vuol aiutare gli altri a superare è infatti assai poco credibile. E non parliamo solo di ipocrisia e manipolazione ma anche di aggressività, pregiudizi, incapacità di confronto sano e basato sull’onestà dei temi e delle posizioni.
La professione ha fatto grandi passi in avanti ma deve affrontare sfide di crescita molto difficili, se dovessero prevalere le stesse dinamiche che hanno inquinato la politica e messo il Paese in grande difficoltà ci sarà un Draghi che ci potrà aiutare?
La Redazione