Pensavamo che, avendo speso i soldi degli iscritti del Lazio per un ricorso inutile, AP avrebbe incassato la sentenza del TAR sugli ECM con fair play. Invece no, sembra che ci sia una certa incapacità di incassare le sconfitte, di ammettere gli errori, di cambiare posizione di fronte alle evidenze.
E’ l’atteggiamento di chi vuole avere ragione su tutta la linea, che vuole essere vissuto e visto così, senza mezze misure. In questi casi scatta il timore che anche una piccola crepa faccia crollare una immagine costruita per apparire perfetta.
Il costo per mantenere questa “perfezione” è alto, e non passa solo sul negare sempre le proprie magagne, sul fare la morale solo agli altri con un fare, spiace dirlo, spesso un po’ supponente. Si è costretti anche a costruire narrazioni che poco hanno a che fare con la realtà, come nel caso della formazione continua.
Però quando si mette la propria immagine avanti a tutto, come fanno peraltro i partiti politici troppo spesso (e ne vediamo le conseguenze), si sacrifica il bene della Comunità, che invece richiede chiarezza, capacità di essere flessibili e di affrontare la realtà per quella che è.
Visto che AP si è definita come la fonte di una “base sicura”, alla stregua di una mamma amorevole che vuole far crescere i figli (in questo caso le Psicologhe e gli Psicologi) in modo fiducioso, ci domandiamo che idea abbiano i colleghi di AP di come si costruisce questa base sicura.
Una mamma che vuole apparire perfetta e superiore a tutti, a costo di presentare un padre come perennemente cattivo, di raccontare ai figli verità improbabili, di confonderli e di creare “figli e figliastri”, sarebbe la “base sicura”?
Ci si consenta di avere qualche dubbio, temiamo che Bowlby non sarebbe molto d’accordo.
Sulla formazione la normativa è chiara, tanto è vero che AP, attraverso l’Ordine Lazio, si è dovuta contrapporre in Tribunale con l’Avvocatura dello Stato che rappresentava il Ministero della Salute, il CNOP si era aggiunto dopo, crediamo per salvare la faccia della Comunità professionale.
Nelle normative e nella realtà una cosa è chiara: tutti gli iscritti agli Ordini delle professioni sanitari, siano essi dipendenti o liberi professionisti, fanno formazione nel sistema ECM. Noi abbiamo ottenuto diversi bonus (iniziare nel 2020 anziché nel 2019, 50 crediti per il 2020) e il CNOP giustamente sta lavorando per rendere il sistema ECM più flessibile e coerente con le esigenze della nostra professione. Tra l’altro è grazie al riconoscimento di svolgere attività sanitaria che gran parte delle prestazioni psicologiche sono esenti da IVA (uno sconto del 22%).
Poiché non vi è dubbio che per fare attività sanitaria occorre fare gli ECM, la conseguenza è molto chiara: fare formazione in un altro sistema vuol dire non poter fare attività di tipo sanitario.
Ecco il punto: è questo che si vuole? Perché, se si conoscono le norme (e speriamo di si) è esattamente quello che si ottiene. Allora lo si dica chiaramente. Lo scenario sarebbe che tutti coloro che dichiarano di non svolgere alcun tipo di attività sanitaria possono fare una diversa formazione (sia chiaro, non sarebbero esenti dalla formazione comunque). Il sistema però è come quello dell’ENPAP, basterebbe un solo atto di tipo sanitario per far scattare l’obbligo dell’ECM.
E’ fuori dubbio che in questa opzione possano rientrare gli psicoterapeuti (che è attività sanitaria condivisa con i medici), a meno che non si pensi ad uno psicoterapeuta sanitario di serie A (medico) ed uno non sanitario (non medico e chiaramente di serie B, e con l’IVA nelle fatture). Potrebbero rientrare gli psicologi non psicoterapeuti, ma a quel punto la categoria si spaccherebbe, perché una parte dovrebbe dichiarare di non voler svolgere alcuna attività di “prevenzione, diagnosi, abilitazione-riabilitazione e sostegno” e comunque attività direttamente rivolte alla salute.
Una opzione che rischierebbe di divenire definitiva perché non sarebbe possibile l’ingresso e l’uscita estemporanea dal sistema di formazione dei sanitari. Almeno dovrebbe essere una opzione per un anno ma più probabilmente per un triennio.
Ammesso dunque che tutto questo sia ottenibile, che si spacchi la categoria, la domanda è: cui prodest? A chi dovrebbe giovare un sistema così complicato e costoso da gestire per l’Ordine e per lo stesso iscritto (che rischierebbe di dover assolvere al minimo ripensamento un doppio obbligo formativo)? Non vorremmo che tutto questa ambaradan dovesse servire a creare (o a sviluppare) un mercato formativo ad hoc… Non possiamo pensare davvero che tutto questo possa avere un obiettivo di così bassa portata. Quello che invece vediamo con chiarezza sono i rischi di dividere la professione, che solo da tre anni, con la legge 3 del 2018, ha trovato una sua configurazione unitaria. Per di più una parte di serie A e l’altra nei fatti di serie B.
La Redazione