Ma perché? Perché si parla così tanto di ECM? In fondo, a ben guardare, ci potrebbero essere tanti altri argomenti altrettanto suggestivi e stimolanti riguardo agli obblighi legati all’esercizio di una professione, che sia sanitaria, tecnica, giuridica, ecc…
Anche perché non si è mai visto nessuno discutere sull’opportunità o meno del versamento dell’iva trimestrale, dell’Irap, dei pagamenti tracciabili o, per rimanere nel nostro ambito, della comunicazione al sistema tessera sanitaria.
Tantomeno si sente parlare dei vantaggi legati al fatto di essere professione sanitaria, come per esempio l’esenzione dall’IVA che permette di avere maggiori ricavi a parità di prestazione. Oppure del fatto che le nostre prestazioni rientrino tra le spese sanitarie e dunque deducibili.
Tutto questo accanimento sembra proporre un’appartenenza alle professioni sanitarie a giorni alterni, che fa gola per esempio quando permette di partecipare alla programmazione sanitaria nazionale e regionale, meno quando il principio di tutela di salute del cittadino chiede al professionista sanitario di essere formato.
Basterebbe chiedersi per esempio se qualcuno metterebbe la propria salute nelle mani di un professionista che non sia aggiornato sui progressi del mondo scientifico? O che utilizzi tecniche d’intervento utilizzate dieci anni fa o più?
Ma alla fine, la domanda che tutto questo dibattito sollecita di più è: questo continuo chiedere di essere riconosciuti come professione “speciale”, non appare come una debolezza della categoria? Che cosa abbiamo di così speciale per non poterci adeguare alla normativa nazionale e a quanto previsto per tutte le professioni sanitarie?
Inoltre, questo continuo chiederci se è davvero obbligatorio sembra ricordare la situazione nella quale il bambino, di fronte ad una sua richiesta, ottenendo una risposta non desiderata, richiede, poi atteso un po’, richiede. Di fronte alla continua risposta negativa, prova allora a chiedere all’altro genitore. E se non funziona cerca nuovi alleati, per esempio nei nonni, a cui però spesso non racconta la verità, ma la sua versione dei fatti. Convinto di poterla spuntare. E intanto, forse, non avrebbe fatto prima ad accettare la prima risposta? D’altronde prima o dopo dovrà pur accettare che non sempre il mondo va come vorrebbe. Poi cresce, e quando si ritrova più grande, capisce quanto quella risposta, e l’accettazione della stessa, sia stata utile per la sua crescita. Allora capisce che non era solo un obbligo, ma un modo per pensare a lui come persona capace e in grado di poterlo fare. Si sente così più forte, sente di poter stare dentro i limiti utilizzandoli per poter crescere, come persona e come professionista. Vero, non facile, bisogna discutere, litigare, chiedere, lottare per cambiare. Ma tutto questo, non è poi una fatica utile quanto indispensabile per la sua crescita?
Abbiamo assistito negli ultimi mesi e anni a continui scontri in cui i vari passaggi normativi venivano utilizzati da una parte e dall’altra per argomentare e costruire la propria visione dei fatti, ma siamo sicuri che sia proprio questo il nocciolo della questione?
Perché se è cosi, dovremmo allora allargare il campo, ragionare anche su quanti e quali colleghi si dedicano al mercato della formazione alternativa, con attività redditizie importanti. Sicuri che non scopriremmo cose interessanti? Forse potremmo abbandonare visioni manicheistiche e scoprire che dove ci sono le tenebre non è poi tutto così buio e in chi professa la luce trovare delle macchie indelebili?
Alessandro Trento