Le nuove tecnologie possono contribuire sia alle scelte elettorali sia alla messa in discussione delle leadership politiche a livello nazionale, così come a quello internazionale.
Le stesse tecnologie se da un lato possono rappresentare un’opportunità democratica, dall’altro portano con sé rischi e insidie non di poco conto. In tal senso, è interessante vedere le conclusioni riportate nell’ultimo rapporto di Freedom House sulla libertà della Rete in cui è sottolineato come i social network sono sempre più utilizzati per controllare e condizionare le opinioni: “In molti paesi, l’ascesa del populismo e dell’estremismo di destra ha coinciso con la crescita di gruppi online superpoliticizzati e composti sia da utenti veri sia da account falsi e automatizzati. Questi gruppi sono capaci di costruire intorno a interessi simili un vasto pubblico, collegano i loro messaggi politici a contenuti fake di natura provocatoria e ne coordinano la diffusione su più piattaforme»
Tale scenario si replica anche nel contesto della politica professionale, dove negli ultimi anni si è assistito a un aumento esponenziale di pagine facebook, gruppi di discussione, utilizzo di Instagram, nonché agli investimenti in questi strumenti social da parte dei principali gruppi politici. Ciò che colpisce l’attenzione è rappresentato dal fenomeno dei gruppi chiusi in cui non essendoci nessuna moderazione istituzionale nella diffusione delle informazioni le tematiche possono subire interpretazioni fino al punto di assumere la forma di vere e proprie distorsioni. Interessante, in tal senso, la differenziazione proposta da Nicholas McFarlane che parla di “white propaganda”, in cui il fruitore o elettore sa da dove arriva il messaggio ed è nella condizione di cercare altre informazioni se lo desidera, dalla “black propaganda”, in cui la condizione di chiarezza sfuma e favorisce invece la confusione.
In tale contesto, i social network e le numerose piattaforme giocano un ruolo, anche se come riportato dal rapporto dell’Oxford Internet Institute del 2019 Facebook rappresenta la scelta prevalente per la manipolazione dei social media. Su Facebook i comunicatori hanno a disposizione enormi autostrade attraverso cui far arrivare il loro messaggio senza necessità di alcuna intermediazione e senza nessun contradditorio. Valentina Pertini nel suo libro riporta un’interessante affermazione di Fabio Giglietto, esperto di social media: “gli algoritmi delle piattaforme di social media tendono a mostrate più spesso i contenuti che ritengono popolari. Per misurare questa popolarità guardano alle interazioni ricevute dal post quindi se riescono ad amplificare questi valori (soprattutto immediatamente dopo la pubblicazione) posso provare a innescare un effetto a catena lasciando che sia poi l’algoritmo di facebook a fare il resto del lavoro. Queste forme di coordinamento non sono vietate.” Ne consegue che ciò che continuiamo a vedere sulle nostre pagine dipende spesso da strategie piuttosto che dalla bontà e veridicità o fondatezza delle informazioni contenute.
Inoltre, quello che si nota in molte comunicazioni cyber organizzate è la cifra delle stesse che, come nelle peggiori tradizioni di utilizzo dei social a scopo persuasivo, è sempre polarizzata (buono/ cattivo, giusto/ sbagliato) e svalutante verso la parte avversaria. Il bisogno che emerge è quello di affermare un’idea, una posizione, uno statement prevalentemente attraverso la demolizione e attacco dell’Altro. Evidentemente tale modalità, però, rappresenta a tutti gli effetti l’antitesi del significato della professione di psicologo, che fonda le proprie basi sull’ascolto, il confronto, la capacità di porsi nei panni degli altri e difendere la pluralità dei punti di vista.
Come sottolineano gli esperti in materia, la potenza degli strumenti social non sta semplicemente nella possibilità di poter arrivare in modo immediato e senza barriere, ma soprattutto nella possibilità di “targettizzare il messaggio” se non per il singolo utente, quantomeno per piccoli gruppi ben definibili e riconoscibili. Per rendere più semplice questo concetto si può dire che la comunicazione sceglie di avvalersi di immagini, parole e un tono a seconda delle caratteristiche di chi si vuole attrarre, in modo da assicurarsi un maggiore effetto sulla specifica tipologia di utente. Uno degli effetti di questo meccanismo è stata la crescita esponenziale di account social che fungono da megafono non istituzionalizzato di questo o quel gruppo o di questo o quel esponente.
Crediamo che tali fenomeni contribuiscano a rendere meno trasparenti le campagne di comunicazione politica, perché nei fatti contribuiscono alla diffusione di informazioni che nei fatti non richiedendo nessuna rendicontazione o documentazione affidabile delle stesse. Difficile immaginarsi come contrastare concretamente tale fenomeno, ma il fatto che le istituzioni ne siano consapevoli e che la comunità rifletta sulle potenziali conseguenze rappresenta un primo step per un auspicato cambiamento.
Proprio per questo è necessario dare spazio e aprire la discussione sulle innegabili potenzialità delle tecnologie quando sono impiegate per coltivare la partecipazione critica e massiva dei colleghi ai processi democratici, così come delle insidie che portano con sé quando usati in modo distorto, al solo fine di vincere competizioni elettorali, coltivando un’autoreferenzialità e uno iato tra istituzioni e comunità il cui unico esito non può che essere la perdita di potere e di capacità di influenza. Il punto centrale è ricordare e favorire lo sviluppo dei mezzi per aumentare le libertà ed i diritti fondamentali, presidiando l’autonomia dell’individuo e impedendo che si realizzino dittature della maggioranza in cui componenti minoritarie della comunità vengano private dei loro diritti fondamentali, in violazione dei principi etici generalmente condivisi nella nostra società.
La Redazione