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Psicologia e Società,

Perché le pari opportunità sono la misura di una democrazia. E perché spetta agli enti pubblici realizzarle.

4 Maggio 2021
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Ursula von der Leyen, nel video in cui ricostruisce quanto accaduto durante la sua visita in Turchia come Presidente dell’Unione Europea, ribadisce con forza quanto già tristemente descritto dai report annuali EIGE (https://eige.europa.eu/): il non averle riservato nemmeno la sedia su cui sedersi durante l’incontro con il Presidente Erdogan non è stata una distrazione o una regola da protocollo (della quale, come minimo, sarebbe dovuta essere stata informata preventivamente), ma l’espressione limpida di una discriminazione sistemica, a lei riservata in quanto donna.

E a poco serve ribadire che von der Leyen fosse lì in quanto Presidente EU, o che ad un uomo mai sarebbe stato riservato il medesimo trattamento. Perché questa discriminazione sistemica non è un’ipotesi: la verifica empirica – compiuta tramite l’analisi di tutto il materiale d’archivio – ha infatti mostrato che a nessun Presidente EU, in nessuna delle visite ufficiali, ed in nessuna nazione è mai stato riservato un trattamento così incredibile.

Ecco perché quando si parla della necessità per gli enti pubblici di adempiere alla Legge Golfo/Mosca del 2011, che chiede che almeno il 30% del CDA sia composto da donne (ed almeno indica il minimo, non certo il massimo), si fa riferimento alla necessità di agire proattivamente perché questo accada. Si chiede cioè di garantire, ex ante, che la selezione tra potenziali candidate e candidati permetterà comunque di adempiere alla realizzazione della gender equity (che prevederebbe, e prevederà, il 50% delle presenze di uomini e donne, come già accade nei paesi nord-europei).

Le best practices in questo ambito sono note e replicabili: ma chiedono di assumere le pari opportunità come dimensione che informa la totalità delle scelte e delle decisioni, operando, come detto, perché l’equità venga garantita a priori. Un esempio? Le competenze di donne e uomini vanno cercate con impegno, e per entrambi i generi sistematicamente vagliate: non semplicemente “trovate” tra coloro che ci sono, per varie ragioni, più prossimi ed affini.

Ricordiamo infine che l’Unione Europea si sta decisamente muovendo verso l’introduzione di leggi che inseriscano la discriminazione del genere femminile tra le forme di violenza che violano i Diritti Umani, e i comportamenti come quello di Erdogan tra i crimini di incitamento all’odio nei confronti di una categoria sociale.

La psicologia può – e deve – fare molto per promuove e supportare anche questa parte del cambiamento sociale: a partire dalle istituzioni che la rappresentano, e nel rapporto con la società tutta.

Prof.ssa Elisabetta Camussi

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