L’equo compenso in Italia ha una lunga storia travagliata.
Inizialmente, per rispondere alle direttive europee, sono stati aboliti i minimi tariffari (2006) e successivamente i tariffari stessi (2012), al fine di rispettare correttamente il mercato di libera concorrenza, tuttavia si sono creati nel mondo professionale più svantaggi che vantaggi, all’interno di una società già abituata a sottopagare e sottostimare l’apporto dei liberi professionisti.
Eppure anche la Costituzione (art. 36) tutela un’esistenza libera e dignitosa nei termini della giusta retribuzione per quanto concerne la vita lavorativa.
Difatti, anche per ovviare al vulnus creatosi, abbiamo assistito all’approvazione del Decreto Parametri (2016) che ha ripristinano le tabelle tariffarie almeno in Tribunale.
L’anno seguente (2017) è stato invece introdotto dal Parlamento il vero e proprio principio dell’equo compenso come diritto di tutte e tutti.
Qui però si innesca il cane che si morde la coda:
- Il Decreto Parametri fissa sì un tetto minimo e massimo per le tariffe professionali ma possono essere rivendicate solo in caso di contenzioso giudiziario, ad esempio se uno Psicologo non ottenendo un congruo compenso decidesse di portare in Tribunale il cliente/committente. Il Giudice a questo punto dovrà quotare il compenso prendendo come riferimento le tabelle del decreto.
- Il principio dell’equo compenso anche se approvato nel 2017 esiste solo come principio, non esistono i relativi decreti attuativi. Nel 2020 si è cercato di inserirli nel decreto “milleproroghe” ma sono stati accantonati perché giudicati non pertinenti dalla Commissione preposta. Attualmente è stata discussa alla Camera una proposta di legge che mira a compensare questa mancanza ma porta con sé numerose criticità.
Il risultato di tutto questo? Le Pubbliche Amministrazioni (dalle Scuole agli Enti Territoriali a qualsiasi organo statale) e gli enti privati non sono in alcun modo obbligati a rispettare nessun equo compenso ma possono pattuirlo come credono, non essendoci un riferimento normativo che nel concreto (con tempi e modi) stabilisca diversamente.
Paradossalmente nemmeno tutti i Tribunali rispetterebbero le tabelle del Decreto Parametri nei pagamenti delle Consulenze Tecniche d’Ufficio, facendo riferimento ancora alla precedente normativa sulle vacazioni. Non a caso il CNOP, qualche anno fa, li ha debitamente richiamati rammentando il corretto utilizzo delle tabelle.
Ma c’è di più, in questo contesto potrebbe scattare il paradosso nel paradosso: nulla vieterebbe a un CTU pagato a vacazioni di portare in giudizio il Tribunale, il quale a quel punto sarebbe evidentemente costretto a stimarne il compenso con le tabelle prima ignorate.
Una incredibile assurdità.
Poche Regioni in Italia hanno infatti cercato di ovviare a ciò approvando una legge regionale sull’equo compenso che purtroppo viene riservata solo a particolari casi e professioni.
Esaminando al contrario i lavori parlamentari sull’ultima proposta di legge da poco approvata alla Camera si prevedrebbe, come denunciato dal mondo di Confprofessioni, un ulteriore incancrenirsi della situazione, nonostante sia stato finalmente contemplato l’uso dei suddetti parametri per i professionisti:
- La normativa si applicherebbe solo ad alcuni casi con PA e grossi gruppi privati, vedendo esclusi la maggior parte degli incarichi in mano ai professionisti.
- L’accettazione di un compenso non equo vedrà la sanzione del professionista, con un illecito disciplinare deontologico, e non di chi lo ha imposto.
- Gli Ordini professionali potrebbero stabilire, attraverso delle convenzioni con i committenti, i compensi dei professionisti.
- Esiste infine una vistosa contraddizione: l’art. 1 cita tutti i professionisti ma in altre parti si cita solo il Ministero della Giustizia e non anche il Ministero della Salute.
La Federazione Italiana Psicologi, alla luce di una situazione sempre più grave e urgente, stigmatizza con forza ogni soluzione legislativa approssimativa, distaccata dal mondo reale, che rischia di appesantire un clima lavorativo già compromesso dall’emergenza pandemica, finendo con il produrre aggiuntivi danni, assolutamente incalcolabili, per professionisti e famiglie.
La categoria di Psicologhe e Psicologi, così come ogni altro attore professionale, merita la piena applicazione del già citato art. 36 della Costituzione, ricordando particolarmente come numerosi professionisti sanitari dell’area psicologica si siano valorosamente impegnati nei mesi scorsi, al culmine dell’emergenza sanitaria, a fornire anche supporto psicologico gratuito per la popolazione italiana, mettendo il benessere collettivo nientemeno che al di sopra di qualsiasi interesse economico.
Il paese è quindi già sufficientemente in debito con migliaia di professionisti e un equo compenso non solo incoraggerebbe un migliore impiego di Psicologhe e Psicologi ma potrebbe anche favorire una spinta per gli investimenti in Psicologia che, come comprovato da numerose ricerche, determinano proprio un notevole risparmio per le casse dello Stato.
Non si risparmia pertanto tagliando i costi dei professionisti, perché è possibile risparmiare soltanto grazie ai benefici conseguenti alla valorizzazione del lavoro di ogni professionista per la società.
La Redazione