La parità di genere equivale alla libertà: non serve essere le più brave negli studi se si continua a essere discriminate. E lo squilibrio va risolto dagli adulti.
Studi all’università, superi gli esami bene, in fretta, con buoni voti. Ti laurei in corso, e molto spesso sei la prima della tua famiglia d’origine a raggiungere quel titolo (dati Alma Laurea). Non è comunque sufficiente per un buon lavoro, pertinente i tuoi studi e adeguatamente retribuito. Ti dicono che è perché hai voluto studiare quello che ti interessava, mentre avresti dovuto formarti nelle discipline Stem. Alcune intanto alle Stem si appassionano: trovano un lavoro più facilmente delle altre (bene), ma il gender pay gap con il compagno di corso è già evidente a 5 anni dalla laurea, anche se pesa un po’ meno che nelle altre professioni. Ti spiegano che la ragione è che le laureate cercano un lavoro stabile (richiesta singolare?) e che abbia un’utilità sociale: per questo, se lo troverai, sarà precario e sottopagato. Avresti invece dovuto aspirare al guadagno e alla carriera, come il tuo compagno di corso (sempre rilevazione Alma Laurea). In realtà, come donna, in Italia, potresti anche finire per appartenere a quel 50% di genere femminile che un impiego non ce l’ha (un dato che l’Europa ci implora da anni di migliorare). Intanto, se tu ce l’hai fatta (ma in che modo? guardiamo i dati Istat sul part time involontario), dentro quella percentuale troveremo di sicuro tua madre, sorella, cugina, amica, vicina di casa. Tanto più se non risiedi, tu e le altre, al Nord.