Si torna a parlare della revisione del Codice Deontologico con toni e argomenti che preoccupano nel metodo piuttosto che nel merito.
Sul merito non mi dilungo perché l’operato del CNOP è stato valutato e giudicato da un autorevole soggetto terzo, un Tribunale, che, a fronte di ogni possibile elemento di contestazione sollevato, ha confermato la correttezza di quanto fatto dal CNOP stesso: parliamo della sentenza del 13 marzo 2024, innescata da un ricorso presentato da un gruppo di colleghe e colleghi.
Ciò che invece più mi preoccupa è cosa sia successo e continua a succedere nel dibattito interno.
È bene ricordare che si è arrivati al referendum dopo due anni di lavori, iniziati con una consultazione aperta a tutta la comunità professionale. Si è arrivati al referendum solamente perché si è prodotta una condizione dichiarata irrinunciabile, l’unità di maggioranza e minoranza (AP), prima nella Commissione deontologia del CNOP (dove ci sono due presidenti di AP) e poi in Consiglio Nazionale.
Riporto dal verbale del consiglio nazionale del 28 aprile 2023 “la materia deontologica deve essere patrimonio condiviso della Comunità professionale e, con molta chiarezza, ci si è decisi di portarla all’approvazione del consiglio e successivo referendum perché c’è stato un voto unanime in commissione, dove oltre alla maggioranza e agli esperti sono presenti anche i consiglieri di minoranza”.
Un passaggio non formale ma sostanziale di condivisione delle modifiche fatte non dalla sola maggioranza ma da tutti. Chiarissima in questo senso la dichiarazione di voto dei Presidenti di AP che cito testualmente dal verbale “Va riconosciuto che questa revisione è frutto di un lavoro comune. C’è stato l’impegno formale e informale di molti colleghi, dentro e fuori gli spazi istituzionali, che si sono impegnati con dedizione e passione per lo scopo comune di arrivare a questo risultato oggi. Vogliamo ringraziare alcuni di loro, i cui nomi non figurano ufficialmente nei lavori ma che hanno contribuito alle proposte portate in commissione, per Altrapsicologia citiamo ad esempio Fortunata Pizzoferro, Pietro Stampa, Valeria Lavia, Federico Zanon”.
Ci sono quindi fatti significativi che non possono essere ignorati e neanche trascurati: una condivisione unanime e un referendum. Su questo va detta anche un’altra cosa importante: le altre professioni di norma approvano i loro codici deontologici con un voto del Consiglio Nazionale, non c’è nessun referendum. Noi l’abbiamo voluto nella Legge 56/89 e ce lo siamo tenuto stretto nelle modifiche successive perché lo consideriamo un passaggio di particolare rilevanza e di democratica condivisione di scelte che ci riguardano direttamente come singoli professionisti e come comunità intera.
All’esterno, in chi ci osserva, nelle Istituzioni e fuori, queste scelte sono state registrate. Una professione che aggiorna il proprio Codice Deontologico (sia pure in attesa di ulteriori integrazioni e aggiornamenti, come è stato sempre detto) in modo condiviso, che chiama le Iscritte e gli Iscritti a pronunciarsi liberamente è una professione che mostra maturità e un profondo senso di responsabilità.
Questo è anche un segnale importante per le Colleghe e i Colleghi: 1) c’è una maggioranza che sulle cose fondamentali non vuole procedere da sola; 2) esiste una minoranza che su alcune partite di fondo accetta di collaborare; 3) c’è una gestione che non ha timore di confrontarsi con un referendum.
Segnali che confermano una credibilità che ci siamo conquistati in questi anni e che ha un valore enorme perché la credibilità non si compra ed è fondamentale per avere adeguati riconoscimenti istituzionali e sempre più spazi occupazionali per la nostra categoria.
Ed è proprio questo che mi preoccupa ripercorrendo le scene alle quali abbiamo assistito e stiamo assistendo. L’unanimità sul nuovo Codice Deontologico registrata nella massima sede istituzionale della professione – il CNOP – è stata gettata al vento.
Illustri esponenti di AP hanno fatto a gara con i distinguo e le prese di distanza. Tanti esponenti AP hanno fatto campagna per «il no al referendum» sul testo condiviso (non semplicemente votato ma scritto insieme) da loro illustri rappresentanti.
Siamo di fronte ad un conflitto interno nell’AP? Si tratta di una strategia «furba» per occupare tutti gli spazi, di chi è a favore e di chi è contrario? È un pentimento tardivo? Oppure…?
Non lo so.
Quello che preoccupa è l’immagine che è scaturita da questa vicenda quasi surreale: non solo dentro ma soprattutto fuori la professione. Quello che emerge è una immagine pessima: quanto conta la parola data? Qual è il suo valore umano e relazionale?
Non si consente un referendum, che ha anche un costo pagato con i soldi delle colleghe e dei colleghi, su un testo che non si condivide. Non si tratta di un esperimento sociale o di uno scherzo politico. Non si vota a favore in aula e poi contro nelle piazze.
La peggiore politica dei partiti ci ha abituato a queste cose ed infatti è molto screditata. La nostra professione si può permettere tutto questo? No, la nostra professione merita altro.
Giancarlo Marenco
Presidente FIP