Leggo cose di colleghi di AltraPsicologia (da ora AP) che mi sollecitano riflessioni sulla Deontologia, sul Codice Deontologico e sulla sua recente revisione.
AP ha avuto un ruolo nella revisione del Codice già da prima che partecipasse con i suoi Rappresentanti e con la sua Task Force deontologica ai lavori revisionali.
L’eliminazione dell’ultimo comma dell’art. 17 del C.D. ‘parte’ da un divertente articolo di Grimoldi (AP) e Barracco dell’ottobre 2020 sul paradosso del sanzionare post mortem. In verità, non si sanzionavano i morti ma si fissava un principio ai vivi e quella previsione deontologica era anche ‘a copertura’ dal rischio di un vuoto normativo. Tuttavia, l’eliminazione è prevalsa perché si è ritenuto che anche la maggior parte dei colleghi di primo acchito ritenesse quel comma ‘troppo’ paradossale.
Il ‘presunti’ aggiunto all’art. 8 del C.D. è una cautela conseguita anche alle sistematiche sottolineature da parte di Stampa (AP) dell’intangibilità di molti termini dello stesso articolo: trattandosi solo di ‘malodori’ (espressione di Stampa) difficili da afferrare, meglio non essere temerari nel denunciare già come abuso ciò che non è ancora formalmente comprovato.
Tutta la faticosa sistemazione deontologica del Consenso Informato conseguita all’assunzione della L. 219/17 è stata anche sempre accoratamente sollecitata da Raimondi (AP) estremamente sensibile ai problemi che modalità indifferenziate a riguardo ponevano soprattutto ai colleghi impegnati nella Psicologia Scolastica.
Poi, dicevo, c’è stata la diretta partecipazione di AP ai lavori revisionali, con due rappresentanti dentro la Commissione Deontologia (Raimomdi e Marilungo) e una Task Force deontologica attorno.
Il meritorio impegno revisionale di AP ha preso corpo in un Documento ufficiale, Oggetto di formale confronto in Commissione.
Tale Documento (non ricordo se pervenuto alla Commissione attraverso i rappresentanti AP o attraverso gli Affari Generali) proponeva ulteriori 25 punti revisionali ad integrazione di quelli già in atto. La grande maggioranza di questi punti fu accolta perché ritenuti validi. Negli ultimi giorni di lavoro, furono accolti addirittura due punti AP in più rispetto agli ultimi due ancora residualmente in discussione e ciò dispose definitivamente AP all’approvazione della revisione.
Quindi, la partecipazione di AP non è stata ‘clandestina’ e l’approvazione non è stata un fatto di bon ton istituzionale ma l’esito di una meritoria condivisione.
Tra i punti proposti da AP ed accolti c’erano proprio quelli successivamente più dibattuti, anche dalla stessa AP.
Un esempio è l’inserimento delle Linee Guida nell’art. 22 del C.D., inserimento proposto da AP.
Un altro esempio è la conservazione del primo comma dell’ex art. 24 (adesso primo comma dell’art. 4) come riferimento per il Consenso Informato alle Prestazioni non sanitarie.
Potrei continuare ma non importa. A me interessano i punti tecnici e non quelli polemici: Osservatorio Permanente, Commissione Deontologia, CNOP hanno continuato a difendere i punti revisionati, compresi quelli di AP che AP contestava, semplicemente perché erano tutti punti tecnicamente validi.
Possiamo continuare a spiegarlo e dimostrarlo in ogni sede di confronto competente.
Ciò detto, io rispetto e trovo assolutamente legittima la variabilità di umori e di idee ed ho anche la presunzione di comprendere in quota parte (quella tecnica che interessa me) da cosa è determinata.
Innanzitutto, io trovo sempre valorico il cambiare idea, ancor di più quando è correlato ad un’ammissione di errore, ancor di più quando sono ben spiegati, correttamente e lealmente, sia l’errore che la nuova idea.
In secondo luogo io credo che una forza politica, una forza che fa politica, deve sentire gli umori di una comunità, quindi comprendo che l’aria agitata dal dibattito referendario abbia potuto agitare anche le riflessioni di AP. Soprattutto quando uno sfalsamento percettivo le faceva sembrare agitazioni maggioritarie.
Quindi, niente da dire sui pensamenti e i ripensamenti a livello generale e politico.
E vorrei in parte assolvere anche i pensamenti e ripensamenti tecnici perché credo di sapere a cosa anche possano essere dovuti.
È un fatto di oblò: se tu vedi la revisione dal punto di vista teorico, hai suggestivi margini di idealità e puoi scrivere bellissime pagine e divertentissimi articoli sul Codice che vorresti.
Ma se vedi la revisione dal punto di vista della riscrittura formale degli articoli, i margini si fanno strettissimi per tutte le compatibilità che bisogna incrociare, quella giuridica, quella epistemologica, quella scientifica, i rimandi logici, gli equilibri di fattispecie…
Per questo, gli stessi AP che nei lavori revisionali su alcuni punti non hanno detto niente o hanno detto cose molto vicine a quelle dell’Osservatorio, quando non addirittura le stesse cose, scrivono poi folgoranti articoli del giorno dopo su quegli stessi punti.
Vengono esercitate, in perfetta buona fede, due competenze molto diverse: gli articoli sulle Riviste sono esercizi molto diversi dagli articoli del Codice Deontologico.
Per questo, mi piacciono gli articoli del giorno dopo di Grimoldi sul 21 e quelli di Stampa sull’8 ma in qualche modo so anche che parlano di altro.
La revisione della revisione del 21 era dovuta solo per la sua formulazione: intenzioni e concetti andavano benissimo ma andavano distribuiti su sedi più coerenti (norma generale, didattica tecnico-professionale, allegati tecnici…): c’era un disequilibrio formale tra la scrittura del 21 e quella degli altri 41 articoli del Codice (anche forse perché è stato l’unico articolo esteso in una sede diversa da quella prevista).
E il ‘presunti’ dell’8 deve tutelare il singolo collega sulla frontiera dello specifico rischio: riflessioni più generali, come anche le tutele più categoriali non abitano in prima istanza un Codice Deontologico.
Potrei continuare: anche sulle integrazioni (art. 12) o precisazioni (art. 31) ‘giudiziarie’, bisogna considerare che una cosa sono le tutele categoriali che hanno anche altre più coerenti Sedi, un’altra cosa è la tutela del singolo collega sulla frontiera di uno specifico rischio. Per questo certe ragioni teoriche e concettuali nulla tolgono alle ragioni della scrittura o della revisione di un articolo giuridico-formale all’interno di un Codice Deontologico.
Vorrei tornare anche sulla ricorrente evocazione della ‘clandestinità’ perché solo da poco ho capito che il riferimento non era tanto (o solo) alla collaborazione di AP ai lavori revisionali quanto (anche o soprattutto) alla composizione della Commissione Deontologia per la quota di ‘esperti’. Una cosa di 5 anni fa non rimarginata.
Sarò ecumenico: ho conosciuto gli ‘esperti’ della Commissione, hanno tutti i titoli e i requisiti per farne parte. Conosco anche tanti esperti fuori dalla Commissione che, allo stesso modo, hanno titoli e requisiti per farne parte.
Gli esperti previsti sono solo quattro, è fatale che qualcuno resti escluso. Qualche volta anche io sono stato escluso tout court, altre volte sono stato dirottato altrove, nella passata consiliatura presso la Commissione Giuridica (notazione personale: dove sono stato molto felice e ho contratto bellissime amicizie).
Mi è sembrato sempre normale perché sapevo che i prescelti avevano adeguati titoli e requisiti ed ero tranquillo riguardo alla qualità del loro lavoro.
Altra cosa che ho letto è che la revisione sarebbe stata ‘abbandonata’ dal CNOP, che non ci sono stati i previsti e dovuti seguiti tecnici ed istituzionali. Questa notazione ‘dimentica’ il clima di rispettosa sospensione generato dall’attesa degli esiti dei ricorsi al TAR. Subito dopo, infatti, le Linee Guida applicative sono state ‘accellerate’ e saranno licenziate entro qualche mese.
Riguardo alla rivendicazione e all’accreditamento del lavoro svolto e del risultato raggiunto, mi sembrano del tutto naturali, ovvi, leciti, forse dovuti, da parte di tutti i Soggetti, anche istituzionali (ivi compreso il CNOP) che tanto si sono impegnati in tal senso. Mi è parso, invece, ben più strano che non li abbia rivendicati e non se li sia allo stesso modo accreditati AP che pure non si è impegnata di meno (anzi) e non ha meritato affatto di meno.
In conclusione, il non condividere certi punti contestati alla revisione del Codice non è legato a difese d’ufficio istituzionale o a spocchia o permalosità personali (non sto ‘proiettando’, sono termini che ho letto…): è proprio legato al fatto che le contestazioni mi sembrano deboli dal punto di vista tecnico.
Vale anche per i pensamenti e i ripensamenti di AP: tanto mi sembravano tecnicamente nutriti e qualificati i punti revisionali di AP, non a caso accolti e ancora oggi difesi, quanto mi sembrano deboli tecnicamente i dubbi successivamente intervenuti.
Ad ogni buon conto, riscrittura più generale e ‘revisione continua’ sono auspici condivisi: il Codice deve sempre filtrare i tempi, essere vitale e contemporaneo.
Per un fatto di integrità, bisogna però sempre rivendicare il lavoro fatto assieme e rispettare le revisioni precedenti e ripartire dalle revisioni precedenti.
Soprattutto perché essendo state approvate sia direttamente dalla comunità professionale sia indirettamente in tutte le sue Sedi di rappresentanza istituzionale, questo rispetto è anche una forma implicita di rispetto per la propria comunità.